Ci sono momenti nella nostra vita in cui sentiamo l’esigenza di ripercorrere il nostro passato e, quasi inaspettato, sorge il desiderio di rivedere vecchie fotografie.
Facciamo ciò ritagliandoci uno spazio di silenzio e solitudine, uno spazio a noi sole dedicato, in cui niente e nessuno possa interferire con l’emozione che proviamo. Non vogliamo sentire parole di altri ma solo ascoltare le nostre sensazioni. Desideriamo che i ricordi ci avvolgano, che una dolce malinconia possa essere accolta per ritrovare la nostra continuità tra quello che è stato e quello che è.

Le fotografie parlano, ci dicono chi siamo state, quali sogni avevamo, parlano dei nostri amori, dei nostri dolori. Parlano di noi attraverso i nostri sguardi, i sorrisi e ci sorprendono nel modo in cui abbiamo scelto come vestirci, come pettinarci e come scegliere di mostrarci agli altri in sintonia con quello che immaginavamo e pensavamo di noi in quel momento. Guardandoci abbiamo pensato quante cose sono cambiate, quali parti di noi abbiamo lasciato e quali abbiamo potenziato, quali risorse abbiamo messo in campo e a quali, invece, di fronte ad inaspettati eventi della vita, abbiamo permesso di non avere più accesso.

Jean S. Bolen apre il suo libro “Le dee dentro la donna” con una frase di potente impatto emotivo: “Ogni donna è il personaggio principale nell’intreccio rappresentato dalla storia della propria vita“. Ogni dea incarna una caratteristica assoluta che disegna le sue modalità di vivere ed ogni donna ha in sé la possibilità di risvegliarla. Riuscire a raccontarsi attraverso i miti ci permette di risvegliare una immagine che induce a rivedere il quotidiano come non più una sequenza di momenti sfuocati e sempre uguali a se stessi, ma come un quotidiano in cui ogni azione, ogni non-azione, ogni scelta, ogni non-scelta acquista un significato profondo, ci dice qualcosa di noi, ci fa essere agenti o ci mette in attesa per prepararci a ciò che dobbiamo fare accadere.

Le donne che vivono ‘bastando a se stesse’, che non si fanno sopraffare dai coinvolgimenti emotivi delle relazioni d’amore, che si sentono complete senza la presenza di un uomo, hanno attive le dee vergini: Atena, Artemide ed Estia.
Le tre dee vulnerabili, Era, Demetra e Persefone, vivono, invece, mettendo al centro della loro esistenza i rapporti amorosi. Sono dee distruttive ogniqualvolta vengono tradite, abbandonate.

Il mito di Medea insegna: tradita da Giasone, ella mise in campo la peggiore vendetta. Uccise i suoi figli divorandoli, lasciando al compagno una eterna disperazione.
La bellissima Afrodite sembra invece rappresentare l’incarnazione del giusto equilibrio tra la possibilità di una donna di godere della propria autonomia e libertà senza privarsi del piacere che l’intimità amorosa ci regala. Afrodite ama, ma non rimane mai vittima dei propri amori.

Ogni volta che avvertivano un cambiamento dentro di noi potremmo chiederci quale dea ha incominciato ad agire e a quel punto porci una domanda: siamo pronte ad accoglierla e a consentire che una nuova parte di noi si esprima?

Il viaggio di ogni donna deve diventare un viaggio verso la completezza. Riconoscere la dea che ci governa e potenziare altre forze che attendono dentro di noi. Possiamo anche decidere di attendere, non è il momento. Anche il non-cambiamento va onorato, purché esso sia una scelta.